Problematiche medico-legali dell’emergenza da COVID-19

Donelli Fabio Maria1, Capano Daniele2, Mercurio Isabella3

  1. Specialista in Ortopedia, Medicina legale e Medicina dello sport, Professore a c. Università degli studi di Milano
  2. Specialista in Medicina Legale, Dirigente Medico U.O.C. Medicina Legale, ASST Lecco
  3. Specialista in Medicina Legale

L’attuale scenario pandemico pone alcune problematiche fondamentali in tema di attività sanitaria, sia per quanto riguarda la gestione della fase più propriamente acuta/emergenziale sia per quanto riguarda la fase della cosiddetta “ripresa”. Superata la fase di lockdown, infatti, si sta constatando il diffondersi di pubblicità sul web da parte di associazioni che propongono consulenze medico-legali gratuite per eventuali richieste di risarcimento alle strutture sanitarie, facendo spesso leva sul sentimento che segue la perdita di un congiunto.

Occorre premettere che nella fase emergenziale, gli esercenti le professioni sanitarie si sono ritrovati ad operare in una condizione di duplice vulnerabilità, la prima legata all’esposizione al virus (sono morti 163 medici e 40 infermieri dall’inizio della pandemia), la seconda derivante dall’aumentato carico di lavoro che ha costretto le Direzioni sanitarie a richiamare in corsia anche specialisti di branche non propriamente cliniche, il tutto contestualizzato nell’incertezza che spesso ha caratterizzato l’ambito politico e gestionale, trovatosi improvvisamente a fronteggiare una situazione che non era immaginabile né prevedibile.

Da un punto di vista di responsabilità sanitaria, l’elevato numero di morti in ambito ospedaliero ed assistenziale, unito all’ ingente quantità di soggetti che hanno contratto l’infezione da virus SARS CoV-19, specie in contesto nosocomiale, ha messo in allarme diversi esponenti istituzionali, che hanno proposto numerosi emendamenti per la realizzazione di un eventuale scudo legale che riguardasse i professionisti e, soprattutto, le strutture sanitarie.

Ad oggi, nessuno degli emendamenti specifici è stato approvato,  e dovendo riferirci a fonti giuridiche note e generali, oltre a quanto contenuto nella legge Gelli/Bianco, sono due gli articoli, in particolare, uno del codice penale ed uno del codice civile, da considerare allorquando si verifichi una situazione emergenziale come quella che stiamo vivendo, che necessariamente stravolge la scala di valori con cui giudicare la condotta di chi, investito di ruoli di responsabilità, si ritrova a prendere decisioni stra-ordinarie.

L’articolo 54 del Codice penale riguarda una situazione definita di stato di necessità: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo”.

L’articolo 2236 del Codice civile sulla responsabilità del prestatore d’opera recita, invece: “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave“.

Sia in ambito penale che civile, nonostante siano due ambiti paralleli che hanno una propria differente criteriologia nella definizione della responsabilità professionale, viene dunque dato spazio al frangente emergenziale che sembra porsi quale esimente di obblighi normalmente posti in capo al professionista od alla struttura in situazioni ordinarie. La dinamica civilistica è ben spiegata dalla sentenza della Corte di Cassazione, sezione IV, del 10 giugno 2014, n.24528, in cui si afferma che: “La colpa professionale del medico deve valutarsi tenendo conto della qualifica ricoperta dal professionista, delle specializzazioni ricoperte dallo stesso e del grado di difficoltà e urgenza di cui debba occuparsi. Il rimprovero personale che fonda la colpa personalizzata, spostata cioè sul versante squisitamente soggettivo, richiede di ponderare le difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi; di considerare che le condotte che si esaminano non sono accadute in un laboratorio o sotto una campana di vetro e vanno quindi analizzate tenendo conto del contesto in cui si sono manifestate. Da questo punto di vista, si è concluso, l’art. 2236 cod. civ. non è che la traduzione normativa di una regola logica ed esperienziale che sta nell’ordine stesso delle cose. In breve, quindi, la colpa del terapeuta ed in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli ed al contesto in cui esso si è svolto”.

Più che nei confronti dell’esercente una professione sanitaria, è tuttavia nei confronti della struttura sanitaria che possono essere avanzate le maggiori pretese in sede risarcitoria. In particolare, un pericolo che viene ravvisato da molti professionisti è l’applicazione all’infezione da coronavirus dell’orientamento ormai consolidato in tema di infezioni nosocomiali, per storia generalmente sfavorevole nei confronti della struttura. Sebbene il nuovo virus non possa essere considerato un germe tipicamente nosocomiale, può presentarsi il caso in cui, specialmente nelle fasi iniziali della pandemia, un paziente, ricoverato per problematiche non infettive, abbia contratto la malattia COVID-19, in ambito ospedaliero da altri degenti e successivamente sia deceduto per tale motivo. In caso di richiesta risarcitoria l’onore della prova verte in capo alla struttura che deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento avverso anche nella situazione pandemica. Una circostanza siffatta, così difficilmente definibile, renderebbe comprensibili anche i timori di alcune assicurazioni che tutelano le aziende ospedaliere, le quali potrebbero decidere di ridurre od eliminare la copertura qualora si realizzasse un aumento esponenziale delle richieste di risarcimento e dei procedimenti giudiziari.

Altro punto da non trascurare è quello del consenso informato. Considerato, come suesposto, che in uno stato di necessità legato ad una situazione emergenziale l’esercente la professione sanitaria è esonerato dall’acquisizione del consenso (art 54 cp), le maggiori problematiche possono presentarsi nella fase di ripresa. Se, infatti, nel momento di acuzie della pandemia e dell’aumento degli accessi ospedalieri, è mancato il tempo per raggiungere gli auspicabili livelli qualitativi di organizzazione e pianificazione, anche in tema di consenso ed informazione, il momento della ripresa dell’attività ordinaria potrebbe essere  comunque molto delicato, considerato il rischio realistico di una recrudescenza dei contagi.

La struttura, a tal proposito, oltre che definire dei percorsi organizzativi volti a ridurre al minimo la possibilità di contagio, allineandosi con quanto stabilito a livello nazionale ed europeo, deve fornire al paziente, nell’ambito di tale tematica, un’informazione quanto più compiuta e dettagliata possibile.

Si sottolinea, infatti, come il paziente prima di sottoporsi a qualsiasi procedura sanitaria deve essere consapevole dei rischi del percorso terapeutico tout court, al fine di prestare un consenso che sia valido e legittimi, dunque, l’atto medico. Numerose aziende stanno predisponendo delle informative volte a rendere edotto il paziente circa l’adozione delle corrette misure di prevenzione in maniera da ridurre efficacemente il rischio di contrarre il virus senza tuttavia eliminarlo totalmente, soprattutto nelle strutture sanitarie, dove vi è, comunque, un elevato afflusso giornaliero di utenti e dove, nei reparti di ricovero, negli ambulatori, nelle aree di diagnostica e nelle sale di attesa, sono presenti utenti che possono avere la malattia COVID-19 in forma manifesta od anche silente. L’informativa, oltre al rischio aggiuntivo di poter contrarre il coronavirus in ambiente ospedaliero, contemplerà la corretta condotta che il paziente deve tenere per ridurre al massimo la diffusione.

In conclusione, l’eccezionalità della situazione emergenziale deve far valutare in maniera specifica le condotte degli esercenti le professioni sanitarie che hanno fronteggiato in prima linea la pandemia; al contempo, è necessario operare, nella fase di ripresa, scelte organizzative ponderate sia al fine di mantenere un livello di contagi basso e gestibile per il SSN sia per rendere il paziente davvero consapevole sul rischio infettivo e poter, dunque, validamente autodeterminarsi.

Ecco il documento integrale

Problematiche COVID – newsletter SLOTO.pdf